OTTOCENTO & NOVECENTO
Proposte per una collezione
28 novembre – 30 dicembre 2015
Vernissage: Sabato 28 novembre 2015, ore 18.00
Sede della mostra: Via Roma 63/67 – 57126 Livorno
Orari: Lunedì – Sabato 10.00/12.00 – 16.00/19.30
Domenica e festivi aperti solo su appuntamento
Per info: +39 0586 815200 – post@800artstudio.com
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Con il dipinto Male erbe di Ludovico Tommasi apriamo l’esposizione “Ottocento & Novecento. Proposte per una collezione”, percorrendo un itinerario pittorico che dall’ultimo decennio dell’Ottocento si snoda fino a metà Novecento.
Tommasi presenta Male erbe all’Esposizione d’Arte che a Firenze fu ospitata da Palazzo Corsini nel 1904; mostra che fu una sorta di palcoscenico secessionista calcato da un gruppo di “novatori”, cioè da giovani artisti che guardavano all’Europa e che sentivano la necessità di un vitale rinnovamento che li affrancasse dalla concezione realista dell’arte che ancora dominava gran parte delle sale della Promotrice.
Nel sensibile, musicale brano pittorico articolato sulle armonie dei toni e magistralmente elaborato nell’ampia porzione del primo piano, Ludovico Tommasi è aderente al dato naturale ma tende sottilmente a trasformare la scena campestre in paesaggio – stato d’animo, in visione interiorizzata, suggerita dall’ora nostalgica, da un cielo inquieto e da un panico sentimento della natura. Tommasi si è ormai appropriato di un proprio originale linguaggio al quale è giunto dopo una lunga e coerente sperimentazione condotta sotto l’influenza del primo maestro Silvestro Lega e accanto al fratello Angelo. La lezione di quest’ultimo ancora traspare nella limpida e emotiva pagina di Pescatorelli, datata 1897, che è un esempio del fare di Ludovico sul calare del secolo XIX, un’opera antesignana pubblicata a piena pagina sui Postmacchiaioli (1991, p.46, fig. 61).
Con il suo divisionismo pervaso di linfa simbolico-panteista, Cipressi e fuoco è un poderoso paesaggio eseguito da Benvenuto Benvenuti nel primo decennio del nuovo secolo, intorno al 1907, quando l’artista era frequentemente ospitato da Grubicy a Milano e il livornese condivideva religiosamente le emozioni estetiche del Maestro e teorico del divisionismo, basate sull’approccio contemplativo al paesaggio e sul sentimento spirituale e poetico della natura. Nel primo piano della composizione le pennellate non sono scientificamente accostate, ma gettate d’istinto sulla tela, il tessuto pittorico è denso e materico nel primo piano deliberatamente indistinto e grave dominato dai verdi cupi, dai rossi e dalle terre, accordi tonali che accompagnano anche le masse possenti dei cipressi che si stagliano sulla luminosa limpidezza dell’atmosfera, realizzata da tocchi accostati di tinte complementari. Sale verso l’alto la colonna di fumo di quel fuoco, purificatore ed eterno, che è elemento simbolico assai caro all’artista. Questo intenso, esemplare dipinto ci parla anche della concezione spirituale che Benvenuti aveva dell’opera d’arte e della missione quasi religiosa di cui si sentiva investito l’Artista nell’atto di creazione.
In suadente e delicata chiave simbolico-naturalista si può interpretare Sinfonia del mare, di Gino Romiti, opera d’impegno eseguita nel 1909, quando l’artista era nel pieno vigore della ricerca e della sperimentazione in seno alla tecnica divisionista, condivisa in ambito livornese oltre che da Benvenuti, da Llewelyn Lloyd da Adriano Baracchini Caputi. Romiti trasforma in magico atto contemplativo, in serena sospensione poetica al di fuori del tempo, quella realissima porzione di costa, tra Ardenza e Antignano, che è la passeggiata del lungomare, frequentata per generazioni da tutti i livornesi.
La mattina del giorno di festa è un capolavoro che Raffaello Gambogi presentò nel 1899 alla Promotrice di Firenze, con la ragguardevole richiesta economica di lire 3.000, e l’anno dopo alla IV Triennale di Milano. Un dipinto di grande impegno che Gambogi ha a lungo meditato, che è anche un prezioso documento storico di un luogo ormai mitico e di un’epoca. E’ ambientato a Torre del Lago, dopo la funzione religiosa, i locali stanno uscendo dalla chiesa e si riversano sulla assolata strada maestra; prima di tornare nelle proprie case, si fermano e indugiano in chiacchiere formando gruppi sparsi. E’ la popolazione per lo più contadina di Torre del Lago allo scoccar del Secolo, mentre i due personaggi in primo piano sono i pittori Francesco Fanelli e Ferruccio Pagni. Due componenti del Club de la Bohème, cenacolo artistico al quale apparteneva anche Gambogi insieme a Angiolo e Ludovico Tommasi, che aveva scelto Torre del Lago e la sua natura incontaminata come eden personale. Essi vivevano a stretto contatto con la popolazione locale e con Giacomo Puccini che per lunghi anni visse sul Lago di Massaciuccoli e vi compose gran parte delle sue notissime opere. Una colorata pagina di vita vissuta dunque, giocata dall’artista sulla forza della luce solare che accarezza e illumina i personaggi e fa vibrare il pulviscolo atmosferico sulla strada maestra che si perde in lontananza. Un’atmosfera luminosa che coinvolge armoniosamente i gruppi di persone, colte e fermate nei loro atteggiamenti come attraverso uno scatto di moviola; i personaggi comunicano tra loro, ma nello spazio dilatato dalla luce regna un palpabile, prolungato silenzio.
Paulo che legge faceva parte della prestigiosa collezione di Romolo Monti, grande estimatore di Ghiglia, Puccini e Bartolena che formò la propria raccolta acquistando i dipinti direttamente dagli artisti. Il dipinto fu presentato insieme ad altre ventinove opere di sua proprietà, all’esposizione “promossa da Romolo Monti di Castiglioncello per devota amicizia” al Cenacolo della Galleria Firenze nel 1955 per ricordare Oscar Ghiglia a dieci anni dalla scomparsa. E’ un’opera del 1920, di rara qualità, in cui la natura morta degli aranci nella fruttiera di maiolica bianca condivide lo spazio con la figura assorta del figlio Paulo costruito per ampie tessere di colore. Una composizione elegante e calibratissima, articolata in verticale, dove colore, forma e riflessi di luce si compenetrano in un susseguirsi compositivo di scivolati tagli prospettici e di masse cromatiche in un gioco tattico e assai persuasivo di elementi ad incastro.
Gwendolen studia di Llewelyn Lloyd è un’opera che reca la medesima data del dipinto dell’amico Ghiglia, e anche Lloyd ritrae la figlia assorta nella lezione, ma a differenza di Paulo che è un comprimario e ha funzione costruttiva, lei è la protagonista indiscussa del quadro, l’artista sembra accarezzare con sguardo affettuoso, la sua figuretta di bimba seduta allo scrittoio, davanti a una finestra che inonda di luce la parte alta della composizione. La luce dà risalto ai bianchi smaltati della marinara indossata dalla figlia, illumina il foglio su cui scrive, rischiara il volto e le mani, si poggia sullo scuretto e penetra nella parte superiore della stanza. Come di consueto Lloyd elabora il dipinto a tasselli piatti e materici di colore e lo ricompone usando suggestivi celesti e blu intensi.
La singolare, indulgente ironia che aleggia nelle spiagge animate di Moses Levy, eseguite negli anni Venti, è presente anche in questa marina che narra, con fitte e nervose pennellate accostate e soprammesse di colore, uno spericolato Salvataggio effettuato tra i cavalloni spumeggianti, a pochi metri dalla riva, sulla spiaggia di un bagno alla moda in Versilia. L’evento improvviso ha catturato l’attenzione di tutti i bagnanti che si sono tutti accalcati vicino a riva per assistere all’imprevedibile evento. La spiaggia deserta, lavorata dall’artista con pennellate distese e piene, copre trasversalmente tutto il primo piano del dipinto, espediente che ne esalta l’estensione e dà ancor più rilievo al fitto assembramento della folla curiosa, segnata da Levy con concitati tocchi di pennello e con l’uso del nero che amplifica la tensione del drammatico evento.
Giovanni Colacicchi, artista dalla colta e raffinata sensibilità, è presente con un sorprendente paesaggio che inquadra le Colline pisane, e sullo sfondo la striscia tenue del mare, un dipinto risolto con una variatissima tavolozza di verdi. “Siamo intorno al 1935, nella fase del pittore definita ‘matura’, prima che fondi il Movimento Neoumanista: il pittore è alla ricerca di un’arte in cui potessero fondersi l’intellettuale spontaneità dell’impressionismo, la naturale chiarezza dei Macchiaioli, così frequente di affioramenti rinascimentali, e la ritrovata cultura figurativa del Rinascimento. Questo paesaggio mi pare una perfetta sintesi di questi tre fattori: nel primo piano vedo gli impressionisti, li vedo nella luce argentata che rimbalza dagli olivi; nel cuore del quadro la chiarezza spontanea dei Macchiaioli e ritorno a quelle vigne sulla collina; nello sfondo il Rinascimento, in quegli alberi esili, i cipressi scuri, i pini marittimi, che svettano contro il cielo” (testo di Margherita Loy).
Nel nostro itinerario pittorico incontriamo inoltre Tipi parigini, cartone del periodo parigino di Lorenzo Viani, un vivace Porto di Livorno del miglior Ulvi Liegi, una potente Natura morta con cacciagione e dei vibranti Pagliai al sole di Mario Puccini. E ancora un misterioso, visionario paesaggio romantico di Giovanni Costetti, un bel ritratto di Achille Lega, e alcuni Ram. In questa mostra proponiamo inoltre una interessante, ricca galleria di pastelli, chine e disegni di grande qualità di artisti operanti nel Novecento (Viani, Pagni, Benvenuti, Levy, Ram, Thayaht).
G.B.d.C