Mario, secondo di sei figli, nasce a Sassari nel 1885, il padre Enrico Sironi è un ingegnere lombardo trasferitosi in Sardegna per motivi di lavoro che l’anno seguente lo porteranno stabilmente a Roma. Mario compie gli studi nella capitale, durante l’adolescenza legge narrativa e testi filosofici, studia musica, disegna con passione. Nel 1902 s’iscrive alla facoltà d’ingegneria ma, afflitto da una crisi depressiva (con la depressione Sironi conviverà per tutta la vita) abbandona gli studi e si dedica all’arte, frequenta la Scuola Libera del Nudo e conosce Giacomo Balla. Si lega di amicizia con diversi artisti romani, con Gino Severini e in particolare con Umberto Boccioni.
Nel 1905 esegue illustrazioni per L’Avanti della Domenica, partecipa a una collettiva alla Società Amatori e Cultori, con due dipinti dalla pennellata sfilacciata e dalla compattezza volumetrica. Sempre minato da crisi depressive ricorrenti, Sironi viaggia, fermandosi a Parigi e a Erfurt in Germania, disegna e manifesta un amore quasi viscerale per i classici. Ispirato della produzione di Boccioni, intorno al 1913 Sironi si avvicina al futurismo, elaborando opere dinamiche e plastiche, dalle forme volumetriche. Nel 1914 partecipa alla Libera Esposizione futurista allestita alla Galleria Sprovieri a Roma. Esegue illustrazioni per la rivista milanese Gli Avvenimenti, orientata al futurismo.
Nel 1915 si arruola, come molti altri futuristi (Boccioni, Funi, Marinetti, Russolo, Sant’Elia, ecc.), nel Battaglione Volontari Ciclisti. Nel 1916 firma il manifesto futurista L’Orgoglio italiano. A guerra conclusa, nel 1919 partecipa con 15 opere alla Grande Esposizione Futurista di Milano. Nel luglio del 1919 a Roma Sironi sposa Matilde Fabbrini e presso la Casa d’Arte Bragaglia inaugura la sua prima personale dove, accanto a composizioni futuriste appaiono opere di ascendenza metafisica. In settembre l’artista raggiunge Milano, ma per le difficoltà economiche in cui versano i coniugi Sironi, Matilde resta a Roma. A quest’epoca sono ascrivibili i suoi potenti paesaggi urbani, le straordinarie periferie – metafore della drammatica esistenza umana, che l’artista presenterà l’anno seguente alla Galleria Arte di Milano; nello stesso periodo si registra la sua partecipazione alle prime riunioni fasciste.
“L’adesione al fascismo, che negli anni Trenta esprimerà anche in grandi opere di contenuto ideologico (mai, però, propagandistico) ha condizionato il giudizio sulla pittura di Sironi, molto più di quanto non sia accaduto ad altri artisti… Per Sironi, come si deduce dai suoi scritti, il fascismo significa essenzialmente due cose. La prima è il sogno di una rinascita dell’Italia, e quindi dell’arte italiana. La seconda… è il desiderio di “andare verso il popolo”, per usare l’espressione mussoliniana: dunque, in campo espressivo, il sogno di un’arte destinata non ai salotti, per i facoltosi collezionisti, ma alle piazze e ai muri degli edifici, per tutti” (E. Pontiggia, Biografia breve di M.S. http://www.mariosironi.org/biografia.html?sf=3).
Nel 1920 insieme a Funi, Russolo e Dudreville firma il Manifesto futurista, Contro tutti i ritorni in pittura, che in parte contiene concezioni estetiche concepite anche nell’ambito dell’imminente Novecento Italiano. Accanto alla pittura, in quegli anni Sironi lavora a ritmi serrati e spesso estenuanti all’illustrazione, per “Le Industrie Italiane illustrate” e dal 1921 per “Popolo d’Italia”, il quotidiano fondato da Mussolini per il quale collaborerà fino al 1942. Nel 1920, la moglie Matilde raggiunge l’artista a Milano, e la coppia va a vivere per un periodo nella casa sul lago di Como di Margherita Sarfatti, con la quale Sironi è legato da intese intellettuali.
Nel 1922 Sironi, Bucci, Dudreville, Piero Marussig, Funi, Malerba e Oppi fondano il Novecento Italiano, movimento artistico, sostenuto da Margherita Sarfatti, che nel 1923 allestirà la sua prima esposizione alla Galleria di Lino Pesaro. Il gruppo di artisti afferma il valore della forma classica, interpretata con sintesi moderna, limpida ed essenziale, scevra da retaggi tardo-ottocenteschi. Nel 1924 insieme al gruppo (senza Oppi che ha una sala per conto suo), Sironi si presenta alla Biennale di Venezia; fa parte del Comitato direttivo del movimento ed espone alle mostre nazionali e internazionali del gruppo (nel 1926 a Parigi e a Milano; nel 1927 a Ginevra, Zurigo, Amsterdam, L’Aja; nel 1929 a Milano, Nizza, Ginevra, Berlino, Parigi; nel 1930 a Basilea, Berna, Buenos Aires; nel 1931 a Stoccolma, Oslo, Helsinki).
Sul finire degli anni Venti il sistema delle mostre e del mercato artistico comincia a infastidire Sironi, mentre sempre più si concretizza il suo interesse per la pittura murale. Nel 1930 esce la sua prima monografia (G. Scheiwiller) e conosce Mimì Costa, la sua nuova compagna di vita, nel 1932 si separa dalla moglie Matilde dalla quale ha avuto due figlie Aglae e Rossana. Nel 1931 alla I Quadriennale di Roma gli è riservata una sala personale. Accetta commissioni da enti pubblici per opere di grandi dimensioni (vetrata La Carta del Lavoro a Roma, due grandi tele per il Palazzo delle poste di Bergamo). Dirada il lavoro al cavalletto e si dedica alla decorazione murale, nella quale crede molto perché è arte egualitaria e per tutti, non finalizzata al possesso individuale. Scrive due testi programmatici: Pittura murale (1932) e il Manifesto della Pittura Murale insieme a Campigli, Carrà e Funi (1932). Per tutti gli anni Trenta si dedica personalmente a innumerevoli lavori monumentali (scultura, affresco, mosaico, vetrate) commissionati dal regime fascista, e dirige il lavoro di altri artisti che eseguono pitture murali, progetta decorazioni e rilievi plastici. Inoltre elabora gli allestimenti delle numerose mostre e fiere campionarie.
Per l’ininterrotto lavoro monumentale al quale si applica per oltre dieci anni, la sua presenza con opere da cavalletto a esposizioni nazionali e internazionali è sporadica. Tiene tuttavia due personali alla Galleria Milano (1931 e 1934). Invitato nel 1934 alla Biennale di Venezia, all’ultimo momento decide di non partecipare. Nel 1942 la Galleria Il Milione presenta una serie di tempere che l’artista definisce “frammenti di opere murali”. Nel settembre del 1943 aderisce alla Repubblica di Salò e con amarezza assiste alla fine del regime fascista e al crollo delle proprie aspettative civili e ideologiche; Gianni Rodari, riconoscendolo per strada, il 25 aprile gli firma un lasciapassare, salvandolo dalla fucilazione di una brigata partigiana.
Nel 1948 un tragico lutto lo colpisce: il suicidio della diciottenne figlia Rossana. Continua a lavorare, particolarmente per scenografie e costumi teatrali, e ad esporre, per quanto raramente, alla Triennale di Milano nel 1951, alla Quadriennale di Roma nel 1955 e all’estero (mostra itinerante negli Stati Uniti nel 1953), mentre rifiuta di partecipare alle Biennali di Venezia. Nel 1955 esce la monografia di Pica Mario Sironi pittore. Afflitto dalla depressione e dall’artrite, muore a Milano nell’agosto del 1961 per il sopraggiungere di una broncopolmonite.
G.B.d.C.
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