Giuseppe, di nobile famiglia, nasce a Roma nel 1900. Frequenterà il liceo classico, nel 1918 combatterà in Trentino e nel 1922 conseguirà la laurea in giurisprudenza, nel frattempo studierà pittura prima presso lo studio professionale di GiamBattista Conti, poi (1923-1924) presso la Scuola del Nudo di Felice Carena.
Capogrossi si dedica interamente all’arte dal 1927, anno che registra la sua prima esposizione a Roma; da allora fino al 1933, dividendosi tra Roma e Parigi, egli consolida la sua poetica pittorica, partecipando a mostre ed esposizioni (Biennale di Venezia 1930, Roma 1932). Fino al 1935 “lavora secondo una sua rigorosa e coerente linea, aderendo spiritualmente alle fonti del Quattrocento italiano e perciò osservando anche il primo Melli e Ferrazzi” (C.L. Ragghianti, in Arte Moderna in Italia, 1915-1935, Catalogo della mostra, Firenze-1967, p. 367). Nel 1933 con Corrado Cagli ed Emanuele Cavalli si presenta in tre sedi espositive: a Roma, a Milano (Galleria il Milione) e a Parigi, dove per la prima volta si parla di École de Rome.
Dalla frequentazione con Cavalli, Fausto Pirandello, Roberto Melli e Cagli, nasce il “tonalismo” che marcherà la Scuola Romana lungo tutti gli anni Trenta e che aveva avuto una sua teorizzazione con il Manifesto del primordialismo plastico, firmato nel 1933 da Melli, Cavalli e dallo stesso Capogrossi.
Nel 1934 l’artista è ammesso nuovamente alla Biennale di Venezia, nel 1935 Il gallerista romano Dario Sabatello organizza una mostra collettiva itinerante negli Stati Uniti, comprendente 27 nuove leve artistiche italiane, tra cui Capogrossi. Negli anni seguenti l’artista partecipa con regolarità agli eventi espositivi, alle Quadriennali di Roma, alle mostre del Sindacato fascista di belle arti del Lazio, alle Biennali di Venezia. Negli anni Quaranta la sua pittura si fa più materica e vivace nel cromatismo, in tendenza con la svolta espressionista di molti artisti italiani. Con la fine della seconda guerra mondiale il fare di Capogrossi muta ulteriormente; durante i soggiorni a Lienz in Austria (1947-1949), disegna cataste di legna che gli suggeriscono forme sempre più sintetiche, lineari e geometriche.
Il 1950 registra la definitiva rottura con la pittura elaborata fino ad allora, anche quella più recente in bilico tra figurazione e astrazione, rifiuta il suo passato, tanto da riutilizzare le tele figurative. Esordisce con la sua nuova produzione astratta alla Galleria del Secolo, suscitando non poche critiche. La mostra toccherà anche Milano (Galleria il Milione) e Venezia (Galleria il Cavallino). Nasce il suo celebre “modulo”, o ideogramma che l’artista libra ritmicamente e distribuisce in composizioni dalle infinite varianti, le sue “superfici” sono una combinazione di spazio e di colore.
Le sue ricerche sul segno lo affermeranno come uno dei più importanti esponenti dell’informale a livello internazionale. Muore nel 1972 e nel 1974 la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma allestisce una mostra antologica che comprende anche la sua bella produzione figurativa.
Testi: GBdC
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