Nato in una famiglia di antica tradizione culturale cattolica, Giovanni Colacicchi compie i primi studi in seminario. Alla fine della prima guerra mondiale si trasferisce a Firenze, dove studia la pittura del primo Rinascimento, dedicandosi contemporaneamente alla poesia. Intorno al 1919 inizia ad interessarsi alla pittura di paesaggio, soggetto caro all’ambiente artistico toscano contemporaneo. Dopo il 1920 decide di concentrarsi esclusivamente sulla pittura ed è, a questa data, ben introdotto nel circolo culturale che s’incontra al Caffè delle Giubbe Rosse, dove stringe amicizia con Aldo Palazzeschi, Libero Andreotti, Raffaello Franchi e conosce il suo maestro, il pittore Francesco Franchetti.
Attraverso Geraldo Cepparelli, del quale frequenta lo studio a San Gimignano, avviene l’importante incontro con Raffaele De Grada, impegnato in quegli anni nel superamento del retaggio macchiaiolo e impressionista, tramite l’elaborazione di un’immagine ferma e solida del paesaggio, sull’esempio di Cézanne. Un altro incontro fondamentale nella vita dell’artista avviene a Roma nel 1921 dove, nello studio di Carlo Socrate, conosce Onofrio Martinelli, al quale resterà sempre legato da profonda amicizia.
In questi primi anni Venti, a Firenze, si trova in contatto con il clima del ritorno all’ordine, anche tramite la collettiva di Valori Plastici organizzata nell’ambito della Primaverile fiorentina del 1922; nel 1926 è tra i fondatori di Solaria, rivista di arte e letteratura, alla quale partecipa l’élite intellettuale italiana, da Giuseppe Ungaretti a Eugenio Montale a Carlo Emilio Gadda, oltre al gruppo degli artisti toscani, costituito, tra gli altri, da Baccio Maria Bacci, Italo Griselli, Gianni Vagnetti, Onofrio Martinelli. Nello stesso anno Colacicchi espone alla Prima Mostra del Novecento Italiano e, successivamente, alle mostre organizzate da Margherita Sarfatti all’estero.
Nel 1930 la Saletta Fantini di Firenze presenta la prima personale di Colacicchi che, nello stesso anno, dipinge la “Donna di Anagni”, uno dei suoi primi quadri di grande impegno, presentato alla I Quadriennale romana, nel quale il critico Raffaello Franchi ravvisa un omaggio alla monumentalità del Quattrocento toscano. Tra il 1931 e 1933 trascorre lunghi periodi ad Anagni, dove dipinge quadri come “Santa Maria Egiziaca” e “Giacobbe e l’Angelo” e, nel 1932 partecipa con una sala personale alla Biennale di Venezia. In questo periodo, superando ogni residua frammentarietà e casualità naturalistica, l’artista recupera gli esempi della grande pittura italiana, da Giotto ad Andrea del Castagno, a Piero della Francesca.
Nell’autunno del 1935, in seguito ad una crisi sentimentale, parte per il Sud Africa, trattenendosi un anno a Città del Capo, dove dipinge opere come “Gli esuli”, “Il faro di Mouillepoint”, “Saldhana Bay”. Nel 1937, a Roma, entra in contatto con Libero De Libero, direttore della Galleria La Cometa, presso la quale si raccolgono i pittori della Scuola romana; l’anno seguente si trasferisce nella capitale insieme alla compagna Flavia Arlotta e al figlio appena nato e tiene una personale alla Cometa, che raccoglie le opere più recenti, tra le quali alcune nature morte segnate da un’atmosfera metafisica. Nello stesso periodo ottiene la cattedra di Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove insegnerà fino al 1970. Tornato a Firenze nel 1939 lavora ad un dipinto per il Palazzo di Giustizia di Milano e prepara una serie di nature morte esposte nel 1940 alla mostra del Lyceum fiorentino, in occasione della quale conosce lo storico dell’arte americano Bernard Berenson, che frequenterà fino alla scomparsa dello studioso, nel 1959.
Dopo la guerra, che lo vede aderire al Partito d’Azione, Colacicchi prosegue coerentemente la propria ricerca pittorica fondando, nel 1947, il gruppo Nuovo Umanesimo, insieme ad Oscar Gallo, Quinto Martini, Onofrio Martinelli, Ugo Capocchini ed Emanuele Cavalli, con l’intento di sostenere, in polemica con le tendenze astratte, la figuratività e il realismo in pittura e scultura. Nel 1948 partecipa per l’ultima volta alla Biennale di Venezia con “Il martire e La martire”. Negli anni seguenti la ricerca artistica di Colacicchi prosegue coerente e appartata, mentre l’attività pubblica si fa più intensa, con l’organizzazione di mostre personali, la realizzazione di alcuni cicli decorativi, l’attività di critico d’arte per il quotidiano La Nazione e la direzione dell’Accademia.
Testi: Gioela Massagli
© Studio d’Arte dell’800
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