Nasce a Quargnento (Alessandria) nel 1881, da famiglia di artigiani. Giovanissimo entra in bottega e lavora come decoratore murale; ben presto si reca, anche per lavoro, a Parigi e a Londra (1899-1900).
Nel 1895 si trasferisce a Milano, dove porta avanti la sua attività di decoratore, mentre frequenta la scuola serale di arte applicata, poi nel 1906 segue i corsi di pittura di Cesare Tallone all’Accademia di Brera, stringe amicizia con Umberto Boccioni, Ugo Valeri e Arnoldo Bonzagni, s’interessa al divisionismo.
Nel 1910 conosce Filippo Tommaso Marinetti e firma insieme a Giacomo Balla, Boccioni, Gino Severini e Luigi Russolo il manifesto della pittura futurista per il rinnovamento del linguaggio pittorico; durante cinque anni (1909-1914) è esponente di punta del movimento, non solo come artista (La stazione di Milano, Donna al balcone, Galleria di Milano), ma come polemista e scrittore. Nel 1911, poi nel 1912 e ancora nel 1914 è a Parigi, dove entra in contatto con le avanguardie, in particolare con gli artisti legati al cubismo.
L’anno 1915 registra il suo allontanamento dal futurismo e l’avvio delle sue nuove e più meditate ricerche pittoriche che lo portano alle radici dell’arte italiana, allo studio dei grandi classici (Giotto, Paolo Uccello). Chiamato alle armi, Carrà che ha appoggiato la campagna interventista, è ricoverato nell’ospedale militare di Ferrara, città dove ha l’opportunità di avvicinarsi alla pittura metafisica di Giorgio de Chirico. Dal 1916 al 1921, in contatto con De Pisis, Savinio e de Chirico, esegue importanti composizioni legate alla corrente metafisica (La camera incantata, Natura morta con la squadra, La musa metafisica, L’ovale delle apparizioni).
Nel dipinto Il pino sul mare del 1921 già s’intravedono i segni dell’evoluzione che Carlo Carrà, sempre in funzione delle amate rimembranze trecentesche, va maturando e conducendo attraverso la sua profonda indagine sulla “realtà naturale” (“Con questo dipinto – scrisse in La mia vita – io cercavo di creare, per quanto le mie capacità lo consentissero, una rappresentazione mitica della natura”). La contemplativa “riscoperta” del paesaggio reale conduce Carrà, memore degli schemi giotteschi, a eliminare ogni particolare descrittivo per giungere a una sintesi compatta e sostanziosa che imprime alle sue composizioni un’atmosfera di mistero e di sospensione temporale.
Dal 1924 al 1935 l’artista produce opere che “per continuità, coerenza, rigore hanno pochi riscontri“ (L’attesa, Meriggio, Paesaggio marino) e fanno di Carlo Carrà una delle figure più importanti del nostro Novecento. Come sostiene C.L. Ragghianti (Arte moderna in Italia, 1967, pp. 172-173), il suo “stile è divenuto pieno possesso… la condotta cromatica” è ormai “d’inesausta e meravigliosa sensibilità,… l’interiorizzazione della visione è sempre più intensa ed esclusivamente poetica, la densità contemplativa è complessa e lunghissima”.
Dal 1915 Carrà è scrittore e critico per riviste e giornali (“Voce”, “Valori plastici” dal 1918, L’Ambrosiano dal 1922 al 1938), dal 1939 al 1952 è professore all’Accademia di Brera, nel 1943 pubblica La mia Vita, uno scritto autobiografico. Continuerà a dipingere fino alla morte che lo coglierà a Milano nel 1966.
Testo: G.B.d.C.
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