Piero nasce a Trieste nel 1879. Di famiglia benestante, è il quarto di cinque fratelli; il padre, commerciante, è collezionista di oggetti d’arte.
Apprende giovanissimo le basi artistiche dal concittadino Eugenio Scomparini (1845-1913), insegnante di disegno e di arti decorative, attivo pittore nella Trieste di fine secolo. Tra il 1899 e il 1901 Piero procede nella propria formazione in autonomia, scegliendo di viaggiare per l’Europa e fermandosi dove fermenti e novità artistiche sono più vivaci: a Vienna, a Monaco e a Parigi. Conosce lo Jugendstil, l’arte di Liebermann, Klimt e von Stuck e poi quella di Van Gogh, Gauguin, Seurat, Cezanne, Matisse e dei Nabis.
Dal 1902, con la moglie Rina Drenik, si stabilisce a Roma per approfondire la conoscenza dei classici italiani, apprezza in particolare Tiziano. Soggiorna nuovamente a Parigi. Nel 1906 partecipa con due dipinti all’Esposizione milanese del Sempione; e rientra stabilmente a Trieste. Nella città natale vive in laborioso isolamento, dedicandosi alla pittura da cavalletto e lavorando en plein air. Si esprime con un linguaggio aristocratico e intimista, originale e di gusto europeo dalle ascendenze compositive di matrice secessionista unite a una luminosità cromatica di sapore postimpressionista. Nel 1912, Marussig si presenta per la prima volta alla Biennale di Venezia (Sull’erba), l’anno dopo partecipa alla Seconda Esposizione Nazionale d’arte di Napoli dove allestisce la sala triestina, e alla Secessione di Roma. Nel 1914 la Galleria Cassirer di Berlino organizza la sua prima personale. Nelle sue tele, con il passare degli anni, il colore assume intensità espressioniste e il segno diventa sempre più forte e definito (Alberi in fiore, 1917).
Nel 1919 partecipa alla Quadriennale di Torino e si presenta con una personale alla Galleria Vinciana di Milano, città dove si trasferisce e dove inizia a frequentare il salotto di Margherita Sarfatti. Si lega di amicizia con numerosi giovani artisti (Carlo Carrà, Anselmo Bucci, Mario Sironi, Achille Funi) e in particolare con Francesco Messina. Il circuito culturale milanese al quale si relazione, spinge Marussig a rinnovarsi: nelle sue composizioni emerge una maggiore e più solida plasticità, le figure acquistano volume e monumentalità, spariscono i contorni e i linearismi secessionisti, il colore assume toni meno accesi e più omogenei. Il suo linguaggio si avvicina a quella “classicità moderna” e a quella sintesi formale perseguite dal gruppo di pittori (Marussig, Funi, Sironi, Bucci, Leonardo Dudreville, Ubaldo Oppi, Emilio Malerba) che insieme alla Sarfatti si riunisce regolarmente alla Galleria Pesaro, e dove nel 1922 si presenta al pubblico e alla critica con la prima mostra di “Novecento Italiano”. Nel 1924 il gruppo dei “sei pittori del Novecento” (manca Oppi, al quale è riservata una sala personale) partecipa alla Biennale di Venezia, senza ottenere il consenso sperato. In seno al gruppo artistico manca una profonda coesione, si verificano defezioni (Bucci, Dudreville, Malerba) e nuove adesioni (Salietti, Tosi, Wildt). Marussig fa parte del Comitato direttivo, ma divergenze politiche lo allontanano da Margherita Sarfatti; non facendo parte degli artisti raccomandati, è escluso dal sistema dei premi e delle esposizioni del regime, non riceve commissioni pubbliche. Alla III Biennale d’Arte Romana, il “Novecento” è riunito in una sala e Marussig presenta il capolavoro Donne al caffè. Si susseguono numerose soddisfacenti esposizioni anche all’estero (Londra, Parigi, Ginevra, Zurigo, Berlino e Amsterdam).
Dal 1928 la pittura di Piero Marussig comincia a trasformarsi, s’illumina e si vivacizza attraverso un più smaltato cromatismo, la stesura compositiva si fa più libera, allontanandosi così dai dettami stilistici teorizzati da Novecento. L’artista si dedica alla figura e alla natura morta (tematiche care a Novecento), ma riprende anche a dipingere il paesaggio. Nel 1930 alla Galleria Milano ha una personale assai ben accolta dalla critica che apprezza il suo mutamento di stile. Continua a esporre nelle mostre di Novecento, ma non partecipa alle polemiche del gruppo; disinteressato e schivo, è sempre più emarginato.
Negli anni Trenta, tramite l’amico Mario Reggiani, si avvicina all’astrattismo e nel 1937 parteciperà alla mostra collettiva “Venti firme” allestita dalla Galleria Il Milione dove, accanto ai pittori che indagano l’astrattismo, sono presenti gli artisti che aderiscono al Ritorno all’ordine. Il 1937 è l’anno che registra anche la sua prematura morte, causata da una grave malattia.
Testi: G.B.d.C.
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