Nato a Livorno da famiglia benestante, Giovanni Bartolena apprende i rudimenti del mestiere dallo zio Cesare, autore di quadri di battaglie e ritratti. Nel 1886 si trasferisce a Firenze, con l’intento di proseguire la sua formazione alla Scuola Libera del Nudo, sotto la guida di Giovanni Fattori, proposito trascurato a favore di un’intensa e dispendiosa vita sociale, che lo allontana dagli studi accademici.
Esordisce al pubblico solo nel 1892, alla Promotrice di Torino; nello stesso periodo stringe amicizia con Signorini, Lega ed altri frequentatori del Caffè Michelangelo di Firenze. Negli anni successivi invia opere alle esposizioni di Firenze e, nel 1896, partecipa con “Cavallo morto” alla Prima Esposizione Triennale d’Arte a Torino. Decide quindi, in seguito a dissesti finanziari, di dedicarsi seriamente all’attività di pittore.
Nel 1898 si trasferisce a Marsiglia ma, viste le sempre più precarie possibilità di sostentamento, dopo sei mesi decide di tornare in Italia. Si stabilisce prima a Lucca, poi a Firenze, dove rimane fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Nel 1915 è in Versilia, a Fossa dell’Abate, ospite dell’amico Plinio Nomellini; nel 1917 Paolo Fabbrini, direttore del Corriere di Livorno, diventa suo mecenate consentendogli, per circa tre anni, condizioni di vita migliori. Nel 1919 si stabilisce definitivamente a Livorno ed avvia un’intensa stagione creativa, segnata dalla produzione di nature morte, vasi di fiori, paesaggi.
Nel 1925 avviene un nuovo incontro fortunato, con il mercante di tessuti livornese Luciano Cassuto, che diviene suo mecenate e lo incoraggia a lavorare con maggiore fiducia. È lo stesso Cassuto ad organizzare la prima personale dell’artista, allestita alla Galleria L’Esame di Milano tra dicembre 1926 e gennaio 1927 e accolta favorevolmente dalla critica, in particolare da Carlo Carrà, che ne scrive sulle colonne de L’Ambrosiano. Nel medesimo anno Bartolena espone anche a Bottega d’Arte a Livorno e al Circolo di Cultura di Bologna.
Nel 1929, stanco della ripetitività imposta da un’attività costante di produzione e vendita, si separa da Cassuto, pur continuando ad esporre: nel 1930 alla Biennale di Venezia, l’anno successivo alla Quadriennale romana. A metà anni Trenta inizia a riscuotere un certo successo commerciale, ma muore pochi anni dopo, all’ospedale di Livorno.
Testi: Gioela Massagli
© Studio d’Arte dell’800