Oscar Ghiglia, nato a Livorno nel 1876, dopo un’adolescenza trascorsa, in seguito alla morte del padre, tra gravi difficoltà economiche e lavori saltuari, frequenta, dalla fine degli anni Novanta, gli studi di Manaresi e di Guglielmo Micheli dove instaura rapporti di amicizia duraturi con Llewelyn Lloyd, Anthony De Witt e Modigliani. Le molte lettere scambiate tra Ghiglia e Modì nel 1901, durante i viaggi di quest’ultimo a Capri e Venezia, documentano lo stretto legame che li univa e il medesimo desiderio di evasione dal ristretto panorama culturale livornese.
Nel 1900, con l’incoraggiamento di Giovanni Fattori, Ghiglia decide di iscriversi alla Scuola Libera del Nudo. Nel 1901 Ghiglia esordisce all’Esposizione Internazionale di Venezia con un Autoritratto. Seguono le esposizioni alla Primavera Fiorentina (1903) e ancora alla Biennale (1903) dove impressionò favorevolmente la critica con l’inquietante “Ritratto”. Nel 1904 espone alla secessione di Palazzo Corsini, impressionando favorevolmente critica e pubblico.
L’ambiente fiorentino di inizio secolo, ricco di stimoli intellettuali, permette a Ghiglia di entrare in contatto con il gruppo della rivista “Leonardo”, (Papini, Ojetti, Ardengo Soffici) e, tramite Costetti e Cimento, approfondisce le tematiche simboliste di Bocklin e Von Stuck. A Soffici, tornato da Parigi nel 1903, si deve l’interesse di Ghiglia per i neotradizionalisti francesi, come Vallotton, Vuillard e Denis, (già visti in occasione delle mostre dei francesi a Venezia tra 1905 e 1907) che influenzano l’evoluzione del suo stile, tra 1906 e 1911, in un colore accesissimo, steso in campiture semplificate delimitate da netti contorni (“Donna che scrive”, 1908; “Camicia bianca”,1909; “La signora Ojetti al piano”,1910). Al 1909 risale il determinante incontro con Gustavo Sforni, collezionista di Cezanne, Van Gogh, Degas, Utrillo e Fattori, pittore lui stesso e, per molti anni, mecenate di Ghiglia. Fu tramite Sforni che Ghiglia potè studiare a fondo la pittura di Cézanne e operare una progressiva integrazione tra la “macchia” toscana e le strutture pittoriche geometriche cezanniane (“Anfora e zucca”, 1912-13; “La sedia rossa”, 1913; “Sforni e Ghiglia”, 1914).
Con la Prima Biennale Romagnola d’Arte tenutasi a Faenza nel 1908, Ghiglia interrompe l’attività espositiva che, tranne alcune poche eccezioni, riprenderà intensamente solo negli anni Venti. Nel 1914 si ritira a Castiglioncello dove, pur non abbandonando la ritrattistica (praticata soprattutto nei primi anni del Novecento), si dedica con maggior frequenza a interni e nature morte e sperimenta quel colore smaltato di grande suggestione (“Natura morta con violino, brocca e frutta”, 1915) che ha stimolato paragoni con la pittura dello svedese Larssen.
Progressivamente, Ghiglia si allontana dai canali ufficiali dell’arte e questa scelta, pur non pregiudicando i suoi buoni rapporti con la critica, lo porta alla diminuzione delle vendite e a crescenti disagi economici. Nel 1920 partecipa alla collettiva “Arte Italiana Contemporanea” promossa da Ugo Ojetti alla Galleria Pesaro di Milano, nel 1926 espone alla storica Prima Mostra del Novecento Italiano. Gli ultimi anni li trascorre in crescente isolamento, dedicandosi a una pittura dai toni sempre più raffinati e intimisti.
Muore a Firenze nel 1945.
Testi: Gioela Massagli
© Studio d’Arte dell’800
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